di Carlo Paolicelli
Il 28 giungo 2013, ricorre il 57° anniversario dei "Fatti di Poznań". Gli operai della Fabbrica Metallurgica "Stalin" insorsero il 28 giugno 1956 al grido di pane e libertà contro il regime stalinista mantenuto dall'Unione Sovietica.
La rivolta fu repressa nel sangue dai carri armati dell'Esercito Polacco comandati dal generale sovietico Konstantin Rokossovsky, allora ministro della guerra polacco. Gli operai uccisi dal generale sovietico (benché di origine polacca) furono almeno 100.
La rivolta espresse il vivo fermento di libertà presente in tutta la Polonia, e si propagò anche in altri paesi a regime stalinista come l'Ungheria; qui esplose nell'insurrezione ungherese del 23 ottobre. Per allontanare il pericolo di una sollevazione in Polonia, i russi furono costretti ad allentare le redini della dittatura aprendo qualche spiraglio di libertà nel Paese.
Furono liberati in quella circostanza il Card. Wyszyński, nonché il dirigente di partito Władysław Gomułka, nel 1949 imprigionato sotto l'accusa di titoismo.
Poznań fu la prima città di un paese sotto il dominio comunista ad insorgere. Dai fatti di Poznań incominciò anche una riflessione a livello internazionale circa la supremazia esercitata da Mosca su tutti i partiti comunisti e socialisti europei. Anche il Partito Comunista Italiano PCI fu attraversato da una profonda crisi nei propri rapporti fra la segreteria del Partito di Palmiro Togliatti e la CGIL di Giuseppe Di Vittorio. Il Deputato Giuseppe Di Vittorio, fondatore della Confederazione Generale Italiana del Lavoro CGIL, assunse una posizione di condanna, chiara e coraggiosa, dell'intervento sovietico, ribadendo che «il progresso sociale e la costruzione di una società nella quale il lavoro sia liberato dallo sfruttamento capitalistico, sono possibili soltanto con il consenso e la partecipazione attiva della classe operaia e delle masse popolari, garanzia della più ampia affermazione dei diritti di libertà, di democrazia e di indipendenza nazionale». La sua posizione si rivelò purtroppo assolutamente minoritaria all'interno del PCI, che scelse l'esercito sovietico contro i lavoratori. Il leader sindacale di Cerignola sottolineò i «gravissimi errori nella direzione politica e nell'economia» commessi dalla dirigenza ungherese - e prima ancora da quella polacca per i fatti di Poznań - con la violazione della legalità socialista e con il distacco dalla classe operaia e dalle masse popolari. Socialismo, libertà e democrazia erano per lui un trinomio inscindibile.
Nacque di qui la "via italiana al socialismo" che pur risultando allora minoritaria era destinata a segnare il futuro della politica italiana. In un'intervista del 9 giugno 2012 ad Adam Michnik, per il quotidiano polacco 'Gazeta Wyborcza', il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, che in quegli anni era dirigente del Partito Comunista Italiano, sui "Fatti del 1956" ha dichiarato: "Innanzitutto fu una tragedia, anche per il PCI, un errore grave e clamoroso del gruppo dirigente, a partire da Togliatti. Poi, anche prima che si ammettesse l'errore, si comprese la lezione: per cui, quando nel 1968 (Di Vittorio era deceduto da oltre 10 anni eTogliatti da 4) ebbe luogo l'intervento armato dell'URSS e degli altri paesi del blocco sovietico in Cecoslovacchia, il PCI ufficialmente si schierò contro quell'intervento".
Nonstante la corrente dominante all'interno della storiografia contemporanea di voler ridurre la portata storica dei fatti di Poznań del 1956, gli eventi geopolitici successivi hanno dimostrato che grazie al sacrificio di quelle vite umane si è aperto un valico nella reinterpretazione del ruolo di Mosca come centro unificante dell'Internazionale Socialista.
Da Poznań è partito l'anelito alla libertà che poi ha conquistato il resto d'Europa.
Per questo manteniamo viva la memoria di quei giorni.
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Il monumento eretto da Solidarnosc in memoria dei Fatti di Poznań 1956 a Piazza Mickiewicz |